Un anniversario

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Tratto da Anniversario di H. Pinter

Con

Orazio Beranato, Dario Blandina, Domenico Cucinotta, Elvira Ghirlanda, Stefania Pecora, Lorenzo Rigano, Mariapia Rizzo, Sergio Runci, Chiara Trimarchi, aiuto regia Mariapia Rizzo, regia domenicocucinotta.

“Anniversario” di Harold Pinter, non racconta nulla, apparentemente. La situazione è molto chiara fin dall’inizio. Seduti a due tavoli, in un prestigioso ristorante londinese, si trovano dei commensali. Ad un tavolo si festeggia l’anniversario di matrimonio di una delle due coppie, composte da due sorelle coi rispettivi mariti, tra loro fratelli. Seduta ad un altro tavolo, una coppia cena senza particolari eventi da ricordare. Compaiono, inoltre, il proprietario del ristorante, una maitresse d’hotel, e un cameriere.


Ai tavoli si discute di vari argomenti, molti argomenti. Le conversazioni sono interrotte dagli ospiti che con estrema gentilezza, servono ai tavoli o si accertano che ogni cosa proceda per il meglio. Alla fine tutti si congedano cordialmente e si danno appuntamento alle prossime volte, in cui godranno della felice atmosfera del ristorante, e sicuramente all’anno successivo, per il festeggiamento del solito anniversario. Fine della storia.


Nessun accadimento, nessun colpo di scena. Solo una nota insolita, dissonante: il cameriere, che mentre si accosta ai tavoli per servire le ordinazioni, chiede il permesso di poter fare un’interruzione. Ed ecco, che nelle interruzioni del cameriere, appare un fantomatico nonno, del quale il cameriere racconta conoscenze e amicizie improbabili che si spingono fino all’inverosimile, tra letterati, artisti vari e personaggi storici. Il nonno del cameriere, dunque, risulta essere non solo quasi eterno, ma anche onnipresente. Protagonista memorabile di memorie incerte.


E così scorre il tempo della cena, immersa in un mare di parole. Ma a ben ascoltare gli argomenti, divertenti, godibili, folli, strampalati, che si alternano ai due tavoli, ci si accorge che le parole pronunciate possiedono uno strano retrogusto. Sorridendo ci accorgiamo che sono le parole di tutti i giorni: le parole che si interrompono, che saltano, che cercano e non trovano, che scavano, che non dicono e non spiegano. Le parole che non svelano, le parole che feriscono, quelle che non controlliamo, quelle senza peso, quelle che lanciamo. Le parole che atterrano e non lasciano il solco, le parole che non riusciamo a dire, che vorremmo dire, che non vorremmo sentirci dire o che desideriamo udire. Le parole che si scontrano e generano violenza. Le parole che compiono il vano tentativo di spingersi in un passato che perde via via i contorni. Le parole che vogliono ricostruire ciò che siamo guardando alle nostre spalle e che si smarriscono nella miopia del tempo che passa e che non ci appartiene più.
Noi che ascoltiamo sorridiamo, perché la bellezza di questo testo consiste nel fatto che risuona come una commedia ma vibra come lo sguardo su un mistero.
Ed è il cameriere che ci permette di allungare la vista su tale mistero che piomba inaspettatamente, dopo l’uscita di scena degli altri personaggi. Egli, ormai rimasto solo, protagonista di un luogo che ha cambiato natura, si rivolge a noi spettatori (sembrerebbe), e dopo aver evocato il nonno un’ultima volta attraverso un ricordo assolato e potente, non più sconclusionato bensì di grande forza poetica, chiede il permesso di fare un’altra interruzione. E qui finisce la commedia: nel silenzio, finalmente, della sua richiesta; nell’immobilità della risposta che non riceve.
A chi guarda, il piacere di intendere.